il pargolo®

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Homepage: https://langolodelpargolo.wordpress.com

A volte capita…

Quando piangere non è abbastanza decoroso, ogni lacrima inghiottita soffoca mentre urla nel petto e implodendo lascia un vuoto più grande di quello che l’aveva generata.
Rimane solo il disagio, un disagio duro a passare, simile ad una nausea, ma che non riesci a scacciar via col bicarbonato…

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20 Gennaii (plurale di Gennaio)

Il 20
gennaio di un anno fa si realizzava ufficialmente il sogno ammericano del
pargolo: primo giorno di servizio a Columbus, presso quel centro ricerche della
gloriosa Ohio State University dove sarebbe rimasto per i successivi sei mesi e
mezzo.

Il 20
gennaio di quest’anno è stato invece il primo giorno di lavoro (quello vero!)
del pargolo che, almeno per il prossimo anno, rimarrà confinato nelle lande
sperdute di Los Angeles of Pinktown nota anche come Rosangeles. Certo dalle
Americhe alle Marche è una bella botta, ma così è la vita e così ce la facciamo
piacere. In fondo chi se non il pargolo avrebbe potuto barattare l’Ammerica o
città blasonate come Roma, Torino o Milano con la provincia più dimenticata di
tutte le Marche? Che poi non è poi così malaccio dato che ad un tiro di
schioppo si possono visitare un sacco di posti interessanti. Certo, niente a
che vedere col calore ed il colore delle terre del Sud, ma in fondo il mondo è
bello perché è vario e preso da spirto pollyanniano il prode pargolo riuscirà sicuramente
a trovare modi e tempi per apprezzare questi nuovi territori.

Coincidenza
o meno, in entrambi i casi il 20 gennaio sembra proprio aver portato bene.

Quale
fausto presagio da parte degli dei, l’ingresso in azienda del pargolo è stato
salutato da una coppia di pavoni (avete capito bene: una coppia di pavoni, uno
maschio ed uno femmina. Qui la natura è talmente incontaminata che pavoni ed
altri animali strani sono liberi di scorazzare liberamente, non curanti della
presenza dell’uomo). Tutto sommato le terre marchigiane hanno molto in comune
coi boschi dell’Ohio, dove, quanto ad animali strani, neanche lì si scherzava
mica!

L’azienda,
nella quale il pargolo si atteggia da ingegnere della unità di ricerca e
sviluppo del settore ambiente, ha ben poco dell’industria, è immersa nel verde
e si autoalimenta con energia rinnovabile. Somiglia più ad una grande officina
meccanica dove molta parte del lavoro si fa ancora a mano (e con l’olio delle
meningi), ma decisamente con stile. Sartoria industriale la chiamano loro e solgono
definirsi con tutta una serie di espressioni simpatiche che rendono decisamente
meno arida ed impersonale la vita aziendale. Anzi, per dare corpo e sostanza
agli slogan ed alla filosofia aziendale, oltre che dei pavoni, credo che debbano
avere assoldato dei filosofi o dei fini pensatori. Insomma, quello dove sono
finito parrebbe un uno di quei posti dove l’uomo sta al centro e si nobilita
attraverso il lavoro. Certamente queste sono solo le prime impressioni di un
piccolo uomo deluso e stancato dall’accademia… Ma per il momento ci va anche
bene così. =)

.. E le
inculate arriveranno presto, non temete! :D

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Follie di Capodanno

Sarebbe
stato un capodanno come tanti, mezzanotte a casa, appuntamento all’una, attesa
dei ritardatari, coda sulla litoranea, ricerca del parcheggio, ingresso,
guardaroba, cuba libre, musica revival, ballo senza alcun pudore (chè sta proprio
qui il piacere di uscire con gli amici), salutare, autostop, saluti, superman…
E tutto sommato sarebbe anche andato bene così perché la musica ci è piaciuta e
la compagnia pure.

Poi,
come di consueto, appuntamento al bar per cappuccio e cornetto, la panacea
contro i mali del capodanno, in grado di riattivarti papille gustative, neuroni
e soprattutto placare la fame chimica da ballo ossessivo e compulsivo misto ad
alcolici di varia e dubbia natura. Il caffè sveglia, la nutella dà lo spunto
per ripartire, il latte neutralizza l’acidità; non fosse per la notte insonne,
quasi quasi si potrebbe pensare di restare svegli a godersi l’alba silenziosa
del nuovo anno.

Essendo
poco distanti da casa io ed un amico decidiamo di tornarcene a piedi, giusto
per smaltire le ultime tracce di alcool e lasciare che il caffè faccia effetto.
La giornata si preannuncia magnifica, l’aria è tiepida, il sole è caldo. Decidiamo
di allungare dal lungomare: l’acqua sfavilla di luce, l’aria è tersa e lo
stretto regala uno spettacolo prodigioso.


D’un tratto entrambi veniamo
folgorati da una idea malsana… La giornata è troppo bella per essere sprecata,
allora prendo l’auto, Pearl Jam a palla e ci dirigiamo alla volta della punta
del faro! Piantiamo l’ombrellone in spiaggia (adesso ho capito il senso di aver
tenuto fino a dicembre l’ombrellone nel bagagliaio…), perché mentre l’Italia
gela in Sicilia si sta meglio che in Florida (chiedete a mia cugina),
aspettiamo il momento propizio ed a turno sfidiamo la furia ed il gelo del mare
tuffandoci.



Adesso l’aria è calda, ma l’acqua è fredda, il risultato è una
specie di tempra come quella del ferro. L’immersione sarà durata non più di 60
secondi, ma in quei pochi istanti qualcosa è avvenuto, qualcosa è cambiato. È
l’alba del nuovo anno e noi abbiamo ricevuto il battesimo del mare; non
possiamo che sentirci mostruosamente felici e gagliardi: questa è una di quelle
bravate da raccontare ai nipoti davanti al camino e con la quale farsi fighi
con gli amici. La coreografia è spettacolare, Scilla e Cariddi,  le nuvole che solcano il cielo disegnando uno
strano gioco di chiaroscuri, si alternano la luce e l’ombra e questo pezzetto
di Sicilia, per gran parte del mondo ignota, diventa il posto più bello
dell’universo. Io stesso invidio me stesso per questa fortuna, per questo
spettacolo.

Dopo la
tempra segue un’oretta di meritato riposo sdraiati lungo le ringhiere di un
ponticello di legno, baciati dal sole e coccolati dal tepore dello scirocco.
Quando però le nuvole cominciano a farsi minacciose capiamo che è giunto il
momento di andar via, comunque contenti e soddisfatti per aver assecondato la
nostra malsana intuizione. :)

A conclusione di questa mattina da leoni ad
aspettarmi a casa c’è
il pranzo di capodanno, all’insegna della tradizione palermitana (le origini di
mamma): come primo un piatto ben assestato, anelletti alla palermitana con sugo
di maiale, piselli e mozzarella filante; di secondo i mitici involtini alla
palermitana (involtini di lacerto farciti con mollica, formaggio e pomodoro)
dalla scioglievole scioglievolezza. Niente dolci, a casa non siamo troppo
golosi, ma mandarini e mandaranci in quantità. Tutto decisamente squisito ed
appagante, degno epilogo di una giornata tanto bella ed intensa.

Sperando
che tutto questo possa essere di buon auspicio per il nuovo anno auguro a voi
ed anche a me un insolito, positivo e propositivo 2010 in cui ciascuno riesca
realizzare anche solo una piccolo pezzettino dei propri sogni, delle proprie
speranze e delle proprie aspirazioni.

W il
nuovo anno!!!!

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Buon Anno :)

Il 2008 mi ha portato l’amore,
il 2009 se l’è portato via a sto punto spero che il 2010 mi ridia indietro i
soldi e tanto vale riderci su piuttosto che piangerci chè in fondo è così che
funziona il mondo.

Il
2009, grazie al Cielo, ha portato anche mila cose buone, last but not least la tanto
sospirata conclusione del dottorato: dal 16 di dicembre, infatti, potete
chiamarmi nientepopodimenochè Dr. Pargolo :D Il 2009 ha portato anche
l’America, una carrettata di amici giusti (vale a dire roba buona, mica pizza e
fichi) ed è stato senza dubbio l’anno in cui ho macinato più km in assoluto. Sono
stato a: Messina, Lecce, Bari, Catania, Columbus, New York, Detroit, Chicago,
Miami, Washington, Philadelphia, Roma, Milano, Pisa, Torino, Ancona, Napoli. Ormai
sono stato collaudato su qualunque mezzo di trasporto, hovercraft compreso, con
qualunque tipo di compagnia, punkabestia compresi, in qualunque fascia oraria.

Insomma
l’anno che sta per concludersi è stato decisamente intenso, forse anche troppo,
ma mi lascia contento perché è riuscito a svegliarmi un po’ dal mio torpore ed
è riuscito a farmi vedere certe cose da nuovi punti di vista. Sebbene il mio
umore di questi tempi sia abbastanza altalenante con picchi bassi, non posso
esimermi dal considerare il 2009 un anno positivo, cruciale, sebbene sempre di
cacca rimanga :D

Il 2009 mi lascia mila dubbi e
mila amarezze e soprattutto almeno una decisione impossibile da prendere. Sì,
insomma, è arrivato il momento delle decisioni irrevocabili (o quasi), quello
in cui il pargolo dovrà parlare a se’ stesso per rispondere alla fatidica
domand “ma tu cosa vuoi dalla vita?” (vi prego non cadete alla facile
tentazione di fare battute…) -ma dov’è Marzullo quando serve?-

Possibile
che a 28 anni non sappia ancora di che morte voglio morire? Perché non so cosa
voglio fare da grande? Perché non so cosa mi piace? Sono un disastro: si può
essere più indecisi di me? :S

 

Caro
2010, sii buono con me, donami un po’ di giudizio ed aiutami a scegliere bene.

Auguri
di buon anno a tutti! =)


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Preghierina

Ed
anche quest’anno il Natale arrivò e mi trovò addormentato, come le cinque
vergini stolte che attendevano lo sposo.

Non
mi interessa cercare attenuanti e di buone intenzioni ne ho e ne ho avute fin
sopra i capelli. Urge una svolta ascetica, voglio fuggire dalle follie e dai deliri
di questo mondo, fermarmi un attimo a pensare senza altri pensieri, senza
fretta e senza malumori. Ho bisogno di respirare, ho bisogno di rianimare lo
spirito, smettere di sospirare e rivivere la stessa vita di adesso con più spiritualità.
Arido, rischio seriamente di diventare arido, alimentato da un clima torrido
che a tutto mi fa pensare tranne che al Natale. Sono diventato insofferente
alla chiacchiere inutili, ai ragionamenti inutili, ai comportamenti inutili.
Non credo più nelle belle parole e nei bei discorsi: anche se aiutano a
galvanizzarsi non cambiano la
realtà. Sono stufo di restare a guardare, e di guardare a mia
volta gente che resta a guardare. Ci vorrebbe la pena capitale. La pena che se non hai capito come si vive non hai il diritto di parlare.

Ti
prego Gesù Bambino aiutami a togliere via tutto questo amaro che ci ho dentro, che
non so chi ce lo ha messo, che non so perché c’è, ne’ cosa sta a significare,
ne’ come farlo asciugare.

Ti
prego Gesù Bambino porta via tutto questo senso di insoddisfazione e di
inconcludenza che mi porto dentro nonostante tutto.

Ti
prego Gesù Bambino aiutami a dare forma alla mia esistenza, a dare sostanza ai
miei propositi, a dare corpo alle mie azioni.

Ti
prego Gesù Bambino aiutami ad amare senza secondi fini, allontana da me
l’invidia e la superbia.
Aiutami ad essere profumato come un fiore.

Ti
prego Gesù Bambino aiutami a non essere cattivo ne’ eccessivo. Aiutami ancora
oggi a sperimentare la tenerezza.

Ti
prego Gesù Bambino aiutami a somigliarti almeno un pochino, nell’essere
pargolo, nell’essere Stefano, nell’essere uno in mezzo a tanti.

Ti
prego Gesù Bambino lasciati abbracciare perché ora più che mai ho bisogno di
sentire che ci sei.


P.S. Caro Gesù Bambino ti prego infine di aiutare e proteggere tutti i lettori dei miei blogz ;)


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Deluso…

Vorrei non dover aver sempre ragione, almeno in tutte quelle circostanze che vanno a mio svantaggio… Ieri ero tanto contento oggi tanto deluso… Per fortuna ho abbastanza amici da riuscire a trovare il modo per non abbattermi mai del tutto. Per certe cose la vita è stata ingiusta con me, però mi ha dato gli amici, tanti e buoni e questo per fortuna è sufficiente per non commettere gesti inconsulti.
Sono deluso perchè le persone deludono, specie una certa categoria di persone. Vorrei urlare di rabbia, gridare gli insulti più brutti, ma non lo faccio, uno perchè me lo aspettavo, due perchè non avrebbe proprio senso. Certe persone scompaiono così come sono apparse, lasciando delle ferite. Quelle che non scompaiono si lasciano dimenticare con più facilità e fanno decisamente meno male. E’ inutile prendersela con l’ingiustizia di questo mondo anche perchè io sono uno che se la passa molto bene e non avrebbe senso comportarsi da bambino capriccioso. Ma non riesco, proprio non riesco a non sentirmi offeso. In certi momenti non vorrei mai essermi fidato. In certi momenti ringrazio il Cielo di averlo fatto. Quello che so è che la mia occasione è nascosta ben bene e verrà fuori al momento giusto, perchè per una persona esigente come me, certe cose, per essere fatte bene, necessitano di tanto tempo. Mi dispiace di aver dato tanto e di averlo perso: posso? E vorrei tanto fregarmene di essere un bravo ragazzo e cedere alla vendetta, ma poi starei peggio, sarebbe anche peggio per tutti e non varrebbe la pena.
Vorrei meritarmi una risposta od un saluto, ma che stiam qui a parlare di merito? Non è mai servito a nulla il merito, almeno su questa terra. Se uno vuole prende, se uno non vuole esita e non prende. Ho esitato quindi non ero sicuro neanche io però ho dato tutto, tutto e non mi è stata neanche data la ricevuta, almeno la ricevuta dannazione. Chi cavolo se ne frega di Berlusconi quando non c’è neanche il rispetto tra persone che si vogliono (si sono volute?) bene? Siamo tutti egoisti questa è la verità e per quanto vogliamo addolcire la pillola non c’è altra realtà. Al solito mi trovo a soffrire colpe che non mi merito che non mi sono meritato e che dipendono dal mio modo di guardare al di là degli eventi e delle persone e di cercare di dare senso e valore ad ogni respiro. Ogni attimo di vita per me è prezioso, so che per gli altri non è così e so che quindi sarò semrpe io a rimanerci fregato. E questa consapevolezza nonvserve a nullam non serve a parare il colpo, ma solo ad essere più coscienti nel momento in cui qualcuno ti trapassa da parte a parte, perchè appunto non dà alla vita la stessa importanza che dai tu.
Fine.


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La febbre del sabato sera

Cosa c’è di peggio di un sabato sera passato a casa, col raffreddore ed in balia di nostalgie e ricordi? Ok, ok c’è abbondantemente di peggio, ho esagerato, scusate,  S C U S A T E!!! Però dai, converrete con me che non è proprio il massimo…

Amici miei mi sento una cacca, con la annessa incapacità di intendere e di volere che questa situazione comporta. E sotto il torpore delle coperte e dietro la prominenza di questo naso gocciolante si agitano una mente ed uno spirito inquieti.

Io non so perché si finisca sempre col rimpiangere un passato che ha esaurito tutto quello che aveva da darci e non si riesca mai ad essere entusiasti sino in fondo delle sfide e delle avventure che dovremo affrontare in futuro. Caspita sono le novità e gli imprevisti a rendere più simpatica la vita, lo abbiamo pure imparato con la nostra esperienza! Il mondo quaffuori non è poi così terribile e fin’ora , a crescere, ci abbiamo solo guadagnato. Eppure…

Deve essere una di quelle paranoie che la società ci ha inculcato per via subliminale perché d’altronde il senso della vita sta tutto in quello che s’ha da vivere. Insomma da millenni la natura segue il suo corso e noi stiamo sempre lì a crearci problemi filosofici enormi dicendoci: “ah ma se fosse stato così piuttosto che colì, allora…” sì però appunto la realtà è così: che senso ha andare a disturbare il regno irreale del colì? Ed è attraverso questo misterioso meccanismo che noi generiamo infelicità per noi stessi (e già che ci siamo anche quintalate di entropia). Anche io se fossi ricco sarei Paperon de Paperoni ed anche mia nonna se avesse le ruote sarebbe una carriola.

L’infelicità moderna è spesso la conseguenza del paragone tra il mondo reale ed uno di fantasia che ciascuno di noi arbitrariamente costruisce su false congetture del tipo: che si debba morire solo da vecchi; che le persone che si vogliono bene non litigano; che chi si fa gli affari propri campa cent’anni; che tutte le persone che ci sono vicine sono felici, mentre a noi siamo l’anomalia del cosmo.

Una volta, quando uno trovava un lavoro era contento perché diceva “cacchio ho trovato un lavoro” e non si poneva nemmeno il problema se gli piacesse o meno. L’omino lavorava, si sentiva felice, nel frattempo trovava una fanciulla, i due stavano bene insieme ed anche se non erano una coppia perfetta si sposavano, mettevano su famiglia e riuscivano a condurre una vita serena, senza avanzare troppe pretese. Adesso se non troviamo il lavoro che fa pendant con la nostra specializzazione diventa un dramma, se non troviamo il partner che la pensi come noi apriti cielo… La possibilità di scegliere su una gamma praticamente infinita di possibilità, il try and buy, e soprattutto la consapevolezza che da qualche parte del mondo (nessuno sa dove però) esiste esattamente qualcosa o qualcuno esattamente come lo vogliamo ci hanno tolto la serenità. Perciò ci lasciamo ossessionare da quello che potremmo avere, ma non abbiamo, del fatto che possa esistere qualcosa migliore in termini assoluti di ciò che abbiamo e che quindi quel che abbiamo è solo una forma di premio di consolazione in mancanza del meglio. Epperò in realtà non è così.

So che volevo dire di più e meglio, ma so anche che sono quasi le 2 e malaticcio per come sono conviene che mi corichi.

Sarebbe bello tornare a scrivere come una volta, ma non ci riesco.

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Riflessioni

Di fronte a fatti o eventi eccezionali come la frana di Giampilieri, l’approvazione dello scudo fiscale, la crisi economica, la finta libertà di stampa e qualunque altra assurdità del presente vi stia venendo in mente, l’opinione pubblica non può che indignarsi. Troppo spesso però questa indignazione si traduce nella voglia di cercare una colpa e un colpevole; una volta che sono stati trovati, la coscienza si mette a tacere e si ritorna a dormire sonni più o meno tranquilli. Dare la colpa è facile e non costa niente, specie se, a prima vista, la colpa non è nostra. In questo modo si divide la società in buoni e cattivi, vittime e carnefici, e, guarda caso, succede sempre che siamo noi a prenderla in quel posto. Io allora penso: tutti quanti facciamo questo ragionamento ergo tutti quanti, colpevoli e non, ci sentiamo vittime di un mondo cattivo fatto di gente cattiva. Anche quelli che noi consideriamo i cattivi a loro volta si sentono vittime di altra gente cattiva e così via. Morale: nessuno si riconosce come cattivo, ma solo come vittima. Noi siamo vittime della politica, la politica è vittima dei magistrati e della stampa, la magistratura è imbavagliata dalla politica, i giornali sono condizionati dalla politica, la politica è vittima dell’opinione pubblica. Insomma tutti siamo vittime.

Di noi stessi.

È chiaro, quindi, che questo ragionare in maniera manichea non funziona ed è controproducente perché, pur volendo contrapporre la ragione al torto, non ci riesce dato che ognuno finisce col ritenersi nel giusto e col giustificare i propri comportamenti.

Insomma l’Italia è un paese in cui nessuno sbaglia.

Ed è sbagliato.

Vedete, tutte quelle cose che ho elencato all’inizio e che sembrano scorrelate tra di loro (che c’entra una frana con la mancanza di lavoro o lo scudo fiscale?) in realtà hanno un denominatore comune, che è la nostra comune colpa, la malattia di cui tutti (o quasi? Vogliamo salvarne qualcuno, giusto per non fare di tutta l’erba un fascio?) siamo ammalati: La s u p e r f i c i a l i t à, nota anche come m e n e f r e g h i s m o.

La superficialità è quella cosa che se sei un privato cittadino ti viene normale gettare una carta per terra “tanto una in più o una in meno che differenza fa” (che poi tutta sta sporcizia non solo degrada la città, ma finisce con l’otturare i tombini e ci lamentiamo…); quella cosa che se sei ingegnere del genio civile concedi i permessi perché “ma veramente sta muntagna s’avi a sdirupari?” (davvero questa montagna deve cascare?); che se sei assessore o sindaco ti fidi dell’ingegnere “tanto è un amico”; che se sei deputato dell’opposizione, il giorno delle votazioni, te ne puoi stare a casa malato perché “tanto è già stato tutto deciso ed un presente in più o in meno non fa la differenza”; che se sei presidente del consiglio ti fai portare delle donnette a casa “tanto chi deve scoprirlo”; che se sei un capo d’azienda o un banchiere o un ministro della pubblica istruzione o più semplicemente un giardiniere maldestro, tagli le radici perché non danno frutto diversamente dai rami… E di esempi stupidi del genere Dio solo sa quanti se ne potrebbero fare.

Non perché gettare una carta per terra sia meno grave che condonare un abuso edilizio dobbiamo sentirci meno responsabili di come stanno le cose. Siamo tutti della stessa pasta, ognuno di noi è menefreghista per tutto ciò per cui gli è stato concesso esserlo. E chi è senza peccato scagli la prima pietra…

Il problema è che alla fine tutto questo sistema non regge, collassa, frana, perché è contro natura ed in un modo o nell’altro l’equilibrio, il minimo di energia potenziale, deve essere ristabilito. Ecco quindi che puntualmente avvengono pasticci e catastrofi per i quali, magari, a farne le spese non sono io che me ne sto bello seduto a casa davanti al computer, ma il poveretto di Giampilieri che nel giro di una notte si vede spazzare via la casa e la famiglia, o l’operaio che dopo anni di onorato servizio viene licenziato ed è costretto a barricarsi sul carroponte. In altre parole questo significa che quando l’equilibrio deve ristabilirsi di botto si va ad accanire su pochi sfortunati che scontano la colpa della superficialità di tutti noi. Quel fango era anche per noi, e se ci fosse stato un modo per distribuirlo equamente a tutti i Siciliani e gli Italiani forse certe persone non piangerebbero adesso la scomparsa dei propri cari. E lo stesso discorso possiamo ripeterlo per il terremoto de L’Aquila e per tante altre cose.  Possiamo solo incassare e capire che se siamo arrivati a questo punto la responsabilità non è di questo o di quello (a che serve trovare dei capri espiatori?), ma è di tutti. Di quelli che protestano solo per il gusto di protestare, facendo della protesta niente di più che una pagliacciata, un gesto di pura reazione senza significato. Di quelli che non protestano per paura di turbare chissà quali equilibri cosmici o più semplicemente perché sfiduciati pensano che lo stato delle cose è tale da non poter essere cambiato. Di chi ogni giorno, infischiandosene di tutto e tutti, conduce la sua vita come se niente fosse ed il mondo attorno a lui non esistesse.

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the more you change the less you feel

 

 

“time is never time at all

you can never ever leave without leaving a piece of youth…”

 

Si parte, si cresce, si cambia.

Scusatemi tutti se sono scomparso in maniera tanto improvvisa, ma neanche io avrei mai pensato di trovarmi nel mezzo di un periodo tanto denso e tanto intenso da togliermi il tempo per scrivere e per dormire. Sono partito, sono stato in America, sono tornato, ho scritto la tesi e nel frattempo ho imparato un sacco di cose, conosciuto un sacco di persone, fatto un mare di esperienze, provato miglia di sensazioni; tutto bello, tutto intenso, tutto velocissimo, tutto incredibile, stupefacente.

Adesso son qui (ma qui dove? Qui è un non luogo), su e giù per lo stivale (e per un po’  anche qua e là per il globo), in cerca di un travagghiu (come si usa dire dalle mie parti), a salutare vecchi amici che non vedo da tempo e a salutarne altri che non vedrò per chissà quanto. Mi piace lo stare sempre movimento, ma comincio a non sopportare più le partenze, i viaggi, i saluti gli addii; viaggiare mi sfianca, ho bisogno di un po’ di pace.

Sento come se ad ogni partenza un pezzetto di me (e del mio essere pargolo) andasse via…

  

“…the more you change the less you feel…”

 

E più si cambia e meno uno se ne accorge, e più si cambia e più questo cambiamento avviene indolore ed in maniera silenziosa. Si migliora, si peggiora? Più genericamente ci si arricchisce delle esperienze che ci si appiccicano addosso, come fossimo un kebab che funziona al contrario. Per questo sarebbe opportuno tenere sempre a portata di mano di un piccolo specchio, trovare un modo per guardarsi in faccia ogni tanto, per capire se veramente stiamo andando nella direzione giusta e se davvero stiamo diventando chi volevamo essere (insomma se il kebab sta venendo bene). Io ad esempio, molte volte, guardandomi allo specchio non mi riconosco: la barba, i capelli lunghi, non c’è più traccia del bravo ragazzo di una volta! Succede così che mi perdo d’animo, che mi chiedo se e cosa sto sbagliando, dove sono finito e dove posso andare a ritrovarmi. Per fortuna ci sono gli amici, sono loro a tranquillizzarmi perché grazie a loro, riflessa nei loro occhi, continuo a vedere l’immagine del me di una volta, quella che ogni tanto temo sia rimasta sepolta sotto la polvere del tempo e che invece, con una nuova forma, continua ad essere la mia essenza.

In effetti tante cose sono cambiate ed altrettante stanno cambiando, in me e fuori di me, ma reinterpretando in maniera personale quello che è scritto nel Gattopardo, io cambio per rimanere in fondo quello che sono: devo cambiare per continuare ad essere me stesso. È questo l’unico modo per interfacciare da un lato il mondo e dall’altro quello che vorrei dirgli/dimostrargli. Insomma ho capito che bisogna cambiare fuori, per rimanere gli stessi dentro.

Le cicatrici degli amori infranti, degli amici smarriti, delle delusioni lavorative etc. non possono e non devono cambiare quello che sono. Potranno ispessire la mia pelle, ma non dovranno ispessire il mio cuore. Si possono perdere salute, fidanzate, amici e questo fa rabbia, tremendamente rabbia, ma fa parte della vita e nella vita per fortuna c’è anche altro.

In fondo il secondo principio della termodinamica ce lo dice: non potrai mai avere più di quello che hai dato, e più dai e più perderai. Ma l’importante è saperlo e farsene una ragione, il resto vada all’inferno!

Il problema è che possiamo guardare solo a quello che abbiamo (perso) e rammaricarci per non averlo più, ma non possiamo sapere quello che avremo nel futuro e gioire per il fatto che lo avremo. Che beffa, sembra quasi una cospirazione! Per questo occorre un pizzico di quella virtù chiamata speranza che non sono mai riuscito a capire se possiedo o meno. Sperare e mai disperare! E cosa possa dare questa speranza io lo so, ma molti non saranno d’accordo. Scelte. Ma un uomo a cui togli la speranza è un uomo che non può vivere. Basta guardarsi attorno.

Adesso, nella testa, nel cuore e nell’anima c’è un misto di esaltazione e delusione, di forza e debolezza, di coraggio e di rassegnazione, felicità e malinconia, per fortuna, non ancora tristezza, ma un pizzico di rammarico quello sì.

Il resto è tutta storia da scrivere e proverò ancora una volta ad aver fiducia nel mio avvenire. Fin’ora ha funzionato più che bene e non smetterò mai di ripetere di essere e di essere stata la persona più fortunata di questa terra.

 

Cari miei e soprattutto care mie vi voglio bene e spero di riprendere a scrivere per bene come facevo un tempo.

A presto

Stefano,

 meglio noto come il pargolo

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Non sono morto a 27 anni, adesso vado per i 33

 

La frase, purtroppo, non è tutta farina del mio sacco però datemela per buona.

 

No, non preoccupatevi: sebbene, al momento, questo mondo in crisi non abbia molto da offrire e certe volte la prospettiva di un Aldilà sembri più allettante ed appetibile dell’aldiqua, non soffro ancora di manie suicide, ne’ ho fatto testamento biologico per sospendere l’idratazione (il mio girovita lo conferma). In compenso sto cercando di imparare ad apprezzare tutte quelle cose che la vita, il fato o Chi per loro, mi hanno dato e amen. Sì insomma, capisco che certe opportunità e certe fortune non sono mica da ridere e che quindi starmi sempre a lamentare che le cose ancora non girano per come dovrebbero sa un po’ troppo di pargolo capriccioso e per fare il bimbo capriccioso forse comincio a non averci più l’età.

 

C’mon guy, you’re in the United States!         –da Stoccarda con furore-

 

Mi godo perciò la mia aurea mediocritas: la nuova routine americana, i nuovi amici (decisamente) italo-(e poco)americani, l’intensità delle relazioni a distanza, la prospettiva della disoccupazione al rientro in Italia (che cerco di interpretare come: ho ancora tutte le porte aperte), qualche bel concerto, la macchina usata con la batteria morta, la pessima chitarra comprata per quattro soldi, le scarpe da ginnastica a 15 dollari, la svolta a destra continua col semaforo rosso, il refill della cocacola, le feste di compleanno alla Cheesecake Factory,  and so on.

 

Ritornando al titolo del post, l’anno mistico (ventisettesimo) si è dunque concluso senza morti, ne’ feriti, forse perché non mi chiamo per J o evidentemente perchè non sono abbastanza bello e dannato per entrare a far parte del 27 club. A questo punto dovrei essere ben contento di aver salvato la pellaccia epperò, se ci penso bene, non posso fare a meno di considerare che tutta ‘sta gente qua, a 27 anni, era riuscita a dire al mondo forse non tutto quel che aveva da dire, ma, se non altro, tutto quello che il mondo aveva bisogno di sentirsi dire da loro. E perciò rileggendo le pagine della mia vita (poetico eh?! J) mi sento un po’ indietro, per non essere ancora riuscito a lasciare una traccia significativa su questo pianeta o per lo meno aver gettato le basi per qualcosa di grande. Invece mi sento, piccolo, mediocre, anonimo; uno che nonostante tutto, non è ancora riuscito a trovare la sua strada o per lo meno una direzione da seguire; uno che più passano gli anni e più le idee gli si fanno confuse piuttosto che schiarirsi. Forse i tempi non sono ancora maturi (ma quanto ci vuole?) ed un bel giorno tutto mi apparirà evidente, ma intanto continuo a sentirmi un talento inespresso, una risorsa sprecata, uno che poteva spaccare e non è stato ancora abbastanza bravo per farlo. Eppure io lo vedo quel lumicino che brilla dentro di me (commovente… bleah!), io lo sento di avere qualcosa di speciale, un talento, dell’ingegno, so di poter e dover dire e dare qualcosa a questo mondo. Il guaio è capire esattamente cosa, come, quando, perché, dire, fare, baciare, lettera o testamento?! Ah che angoscia!!! Bastaaaaaa!!!!!

Allora, voi, per consolarmi, mi direte che quelli erano altri luoghi, altri tempi, altre persone e che, soprattutto, io non somiglio neanche lontanamente a Jim Morrison, tanto meno a  Kurt Cobain. E così, l’artista mancato che è in me, ulula alla luna per non essersi compreso e per non essere stato compreso e prorompe in un malinconico blues (cfr. la saga di addolorato)

Per fortuna mi viene in aiuto, come sempre del resto, il buon Gesù Cristo, che fino a 30 anni aveva condotto la sua vita da onesto e tranquillo falegname (che, anche se non è ingegnere, un po’ ci assomiglia) e poi, in appena tre anni, ha cambiato per sempre i destini del mondo. Al catechismo mi hanno insegnato che dovrei prendere Lui da esempio (e non tutti ‘sti tipi drogati ed esaltati) e se ragioniamo in termini di tempo direi che in fondo mi conviene. D’altronde Lui ha anche detto che noi compiremo cose più grandi di quelle che ha fatto Lui ed io, a ‘sto punto gli voglio dare fiducia ;)

Aspettando i 33, allora, mi godo gli ultimi –enti prima dello spauracchio dei –enta e nel frattempo auguro buona vita a me, a voi, a loro, a tuttiquanti, tuttiquanti!

Baci ed abbracci in quantità dal Nuovo Continente

Il vostro beneamato beniamino

                                                                  il pargolo®

 

 

P.S. Come potete vedere ho aspettato i 28 per scrivere e pubblicare questo post, perché non si sa mai… volevo esserne del tutto sicuro (scrisse grattandosi le appendici del basso ventre con nonchalance)

 

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